IL GATTO NERO
A volte, sentivo il mio
padrone raccontare che da bambino ha sempre amato gli animali e che accudiva
bestiole di tutti i tipi. Spesso lo sentivo dire che da piccolo era preso in
giro perché aveva un’indole docile e affettuosa. Quando lo raccontava provavo un
grande odio per quelle persone e le avrei voluto tanto azzannare, nessuno può
trattare male il mio padrone! A quanto pare le caratteristiche che lo
distinguevano da piccolo gli sono rimaste tutt’ora. In casa abbiamo una
moltitudine di animali: conigli, uccelli, pesci rossi, un cane (che non mi
stava granché simpatico), una scimmietta e ovviamente me. Credo che il mio
padrone mi voglia particolarmente bene, non che ne voglia di meno agli altri ma
forse il legame che ci unisce è più forte. Io ovviamente ricambiavo il suo
amore e lo seguivo dappertutto; lui mi riempiva di carezze e io di leccatine.
Credo proprio che il nostro amore fosse reciproco. Mi ha chiamato Plutone, non
ho mai capito perché mi ha chiamato così. Forse è stata la mia padrona a farlo,
perché ritiene che i gatti neri possano essere delle streghe travestite!
Purtroppo, molti umani la pensano così, e ciò mi fa sentire infelice, perché a
volte non mi sento ben voluto. In questo mondo folle credo che l’unico che mi
capisce veramente sia il mio padrone!
Ultimamente però mi presta
meno attenzioni; negli ultimi giorni, quando torna a casa, è sempre molto
strano… è come se non ragionasse. Spesso lo vedo picchiare la mia padrona, ma
perché lo fa? Lei lo ha sempre amato e lui ricambia l’amore con la violenza.
No, io proprio gli umani non li capisco; purtroppo, inizio a non capire più
neanche il mio padrone.
Oggi è una tiepida giornata
d’inverno; non è molto freddo ma preferisco restarmene a casa al calduccio. Il
mio padrone è uscito anche oggi per andare in quel posto malefico, dal quale
torna a casa come privo ragione. Purtroppo, il suo comportamento peggiora, e di
giorno in giorno lo vedo sempre più strano, più folle. Vado a sdraiarmi sopra
il divano, ho un po’ di sonno. All’improvviso sento un suono cigolante, la
nostra porta che si apre. Sento degli strani gemiti, probabilmente è il mio
padrone. Provo ad andargli in contro, ma quando lo vedo non lo riconosco. Vedo
solo un uomo con la mente bruciata dalla follia che barcolla verso il
soggiorno. Emette degli strani gemiti. Io lo guardo per un po’ senza capire
cosa sta cercando di fare. A un certo punto si gira, mi guarda e mi corre
incontro. Di solito lo fa con dolcezza ora invece con tanta violenza e mi
stringe forte tra le braccia. Mi fa male, quindi, mi dimeno per liberarmi ma
non molla la presa, anzi, emette gemiti ancora più rumorosi e mi stringe con
ancora più collera. Gli do un morso e finalmente mi lascia andare. Come non
detto. Mi afferra per la gola, provo a dimenarmi ma questa volta la sua presa è
troppo forte. Estrae uno strano oggetto dal taschino della camicia, è una
specie di lama con un manico. Sento un dolore terrificante, vedo sgorgare
sangue dal mio corpo e non riesco più a vedere da un occhio. Come può farmi
questo? Ci siamo sempre amati, ci siamo sempre voluti bene, come può ferirmi
con tale brutalità? Non ci sono più dubbi, l’uomo crede noi gatti neri dei
demoni, ma i veri demoni sono loro.
Mi sveglio un po’ frastornato
in seguito allo scontro di ieri sera, mi sono state infrante numerose ferite ma
mi sto riprendendo. Vedo quell’umano che barcolla per il salotto; probabilmente
la sua follia non è ancora svanita del tutto. Si avvicina a me con cautela,
forse vuole accarezzarmi ma io scappo. Non mi farò mai più toccare da lui.
Ecco. Mi guarda di nuovo storto, mi preparo già a scappare, non si sa mai. Si
avvia verso un cassetto in preda alla furia e da lì estrae una corta. Adesso
che intenzioni ha? Corre verso di me. Ho talmente paura che non riesco a
muovermi, mi afferra di nuovo con violenza e mi lega la corda intorno al collo.
No, non può farlo, non può! O meglio come può? Mi porta di fuori lega l’altra
estremità all’albero del nostro giardino. Una volta legato, lascia la presa.
Forse sono morto, non so. Non
vedo più niente a parte del fuoco. Però, sento uno strano odore, odore di fumo.
Mi sento coperto di fuliggine e sento qualcosa che mi schiaccia leggermente.
Sento delle voci che gridano, delle sirene. Sento che alcune persone spruzzano
dell’acqua. No, non sono morto, se fossi morto ci sarebbe più quiete. Provo a
scansarmi via quel cumulo di mattoni che mi ricopre. Non è un’impresa facile ma
ce la faccio. Piano piano riesco ad uscire, vedo un sacco di macerie, del fumo
e del fuoco. C’è una sola parete rimasta in piedi, e c’è impressa la mia
immagine. La casa è andata a fuoco. Completamente. Ma perché mai sono qui?
Perché non sono stato anche io vittima dell’incendio, oppure dell’impiccagione?
Forse c’è un motivo per cui sono ancora vivo. Forse non sono ancora pronto per
morire. Vedo quell’uomo malefico e sua moglie che parlano con degli agenti di
polizia. Ci sono dei pompieri che corrono qua e là. Quando guardo quello schifo di umano, provo
un sentimento strano: odio, rabbia, rabbia, rancore. Tutte mischiate insieme. È
un sentimento strano, che non ho mai provato. Forse ho capito che cos’è. Oh, sì
che l’ho capito: VENDETTA. Vado via senza farmi vedere da nessuno.
Probabilmente il mio padrone non sarebbe felice di vedermi vivo. Ma presto avrà
un motivo in più per non esserlo.
Oggi è un altro giorno. Il
giorno in cui la vendetta languisce, il giorno in cui in cui il grosso gatto
nero, LA FA PAGARE AL CATTIVO UMANO. Faccio un giro dei tetti. Sin da quando
ero piccolino mi è sempre piaciuto saltare di tetto in tetto. Vedo una piccola
locandina. Scorgo il mio padrone entrarci dentro. Era quello il luogo in cui la
mente degli uomini viene sciolta. Aspetto che esca. Intanto dormo un po’.
Passano un po’ di ore.
Eccolo. Eccolo lì che esce.
Guardo come torna a casa tranquillo e spensierato. Senza ragione non si hanno
più problemi. Ora ne avrà fin troppi. Si avvia barcollando verso la casa. Io lo
seguo correndo sopra i tetti. Spesso mi posiziono davanti a qualche lampione
per proiettare ombre verso di lui. Un piccolo avvertimento da parte della morte.
Si spaventa e inizia a correre. Corre. Corre. Corre.
Finalmente arriva a casa, cioè
quel che ne rimane. Lo vedo scendere in uno scantinato. Probabilmente loro ora
abitano lì. Scendo dai tetti e passo dopo passo scendo nel sotterraneo senza
che lui mi veda. Le scale instabili scricchiolano, probabilmente corrose dal
tempo. Non sono mai stato lì, è la mia prima volta. Il cupo scantinato è
illuminato da una fioca luce emanata da alcuni candelabri sparsi qua e là.
Bello, ora posso fare un altro spettacolo di ombre. Inizio a camminare tra i
candelabri e le ombre iniziano ad apparire. L’ho terrorizzato! “Gatto
demoniaco! Gatto demoniaco!” grida quello stolto “Esci fuori, forza, che hai
paura?” Sento uno strano accento nella sua voce, è come se fosse una molla. Salgo
sopra una trave del soffitto, anche quella scricchiola ed è piena di ragnatele.
L’uomo, che un tempo era il mio padrone, è proprio sotto di me. Balzo giù, gli
salto addosso, e con tutta la forza che la rabbia mi ha donato, gli graffio un
occhio. L’uomo urla, e un liquido rosso inizia a sgorgare a fiotti. Prova ad
arrivarmi una manata ma io scappo via e salto tavolo. Si copre l’occhio con una
mano tentando di fermare il sangue. Estrae dal taschino quell’aggeggio con cui
mi ha ferito la prima volta. Mi si avvicina. Mi afferra con la mano con cui si
copriva l’occhio e mi sporca leggermente di sangue. Mi lascio afferrare. Alza
l’aggeggio e si prepara a scagliarlo contro di me. Che stupido! Scaglia il
colpo, ma le sue mani non riuscirebbero a trattenere neanche un batuffolo di
polvere. Sguscio via in fretta. Emette un altro urlo. “gatto malefico!
Maledettissimo gatto malefico!” Proprio come un perfetto idiota, invece che sul
mio dorso, si è infilzato l’aggeggio nella sua mano. “Bestiaccia di satana!” mi
urla di nuovo con la sua voce monca. È ammanettato al tavolo, non è abbastanza
cosciente da riuscire a togliersi la mano dall’arto. Guarda un po’, sopra di
lui c’è una mensola piena di ragnatele con un barattolo tutto rosso e con un
tappo nero. Balzo sopra la mensola, il tappo è leggermente aperto.
Probabilmente è stato chiuso male. Dentro c’è un liquido con un odore acido e
strano. Non so bene cos’è ma un istinto soffocato mi dice di ribaltarglielo
addosso. Gli tiro una leggera zampata. Il contenitore non cade giù ma rovescia
sopra l’uomo quello strano liquido. Sgorga. Sgorga. Si ferma. Ora tiro una
zampata più forte al contenitore e lo faccio cadere giù sopra un candelabro che
si ribalta. Piccole fiammelle iniziano ad innalzarsi. Meglio andare. “No. No.
Sei assatanato, bestiaccia! Io ti maledico!” urlò. Mi avviai verso l’uscita
senza guardarlo. Una volta raggiunto l’uscio vedo un fumo denso che sale dallo
scantinato accompagnato, in seguito da grandi fiammate. L’ho ucciso. Ho ucciso
l’uomo che all’inizio amavo tanto.
Sono stato io? Forse no. Non
sono stato io, ma la vendetta che languiva e si struggeva dentro di me.
Odo le ultime urla e poi tutto
cessa in una fitta nebbia che si innalzava nel cielo.
Ora posso finalmente riposare
in pace.
FINE
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